Prologo (fonte Monsanto)
”Tutto è cominciato con un giovane chimico di nome John Franz trasferito nel 1967 alla divisione agricola di Monsanto.
Dopo tre anni di ricerche, Franz e il suo team ebbero successo nel sintetizzare la molecola che avrebbe cambiato la tecnica di coltivazione per sempre: il glifosate, la sostanza attiva della formulazione Roundup® di Monsanto.
I risultati dei test preliminari di valutazione erano così spettacolari che la prima relazione sulle prove fu di una parola sola, “EUREKA!”… lo abbiamo trovato! Si riscontrava che l’erbicida era efficace non solo sulle infestanti annuali, ma anche sulle perenni, ed era attivo sia sulle foglie sia sulle radici. Dopo anni di ricerca e ingenti investimenti, nel 1974 Monsanto dà il via alla commercializzazione di Roundup® in UK e Malesia. Il momento era perfetto perché negli anni ’70 si era alla disperata ricerca di un erbicida efficace e al contempo più rispettoso dell’ambiente e Roundup® prometteva di esserlo. Per la sua scoperta, John Franz ricevette la Medaglia Nazionale Statunitense della Tecnologia nel 1987 e fu annoverato nella Hall of Fame degli Inventori Statunitensi nel 2007. “
Abbiamo forse scelto un modo un po’ inatteso per introdurre questo post sulla questione del glifosate nelle acque potabili del nostro Comune.
Nell’epoca in cui stiamo vivendo, dove una cosa può essere assolutamente vera o assolutamente falsa, a seconda dei presupposti che vengono scelti per stabilire ciò che è prioritario, non c’è da stupirsi che il glifosate sia stato considerato per decenni una grande trovata (pure rispettosa per l’ambiente, almeno secondo chi la vende), mentre ora viene classificato dall’Agenzia Internazionale per la ricerca contro il cancro (IARC) come sospetto cancerogeno e additato un po’ da tutti, anche per l’uso smisurato che ne viene fatto a livello mondiale. Vi ricorda quacosa questa storia? Prodotti perfetti, innocui, economici, comodi che poi si rilevano dannosi direttamente (amianto) o indirettamente (CFC, con il conseguente buco nell’ozono).
La domanda, semplice, da cui siamo partiti per elaborare questa riflessione è: “Perché si usa il glifosate?”
La risposta, in sintesi, potrebbe essere all’incirca: “l’uso del glifosate è una pratica agricola per eliminare le erbacce che crescono spontaneamente ovunque e che consente di ridurre decisamente i costi delle lavorazioni del terreno.”
Facile dedurre che l’utilizzo massivo del glifosate, si deve al fatto che è un’ottima risorsa per l’agricoltura intensiva, e più in generale di un sistema socio-economico basato sulla crescita continua e sull’utilizzo “fin quando ce n’è” delle risorse del pianeta.
Quindi se da un lato è doveroso approfondire la questione del glifosate nell’acqua pubblica, dall’altro dobbiamo essere consci del fatto che questo non è altro che uno dei tanti sintomi della malattia che affligge il nostro pianeta, altrimenti corriamo il rischio di vedere il dito che indica la luna e non la luna.
Provare a guarire il pianeta dalla malattia che lo affligge vuole però dire rinunciare a qualcosa, anzi probabilmente a tanto, dal punto di vista materiale: siamo disposti a farlo, o in fondo qualche microgrammo di glifosate nell’acqua del rubinetto non è poi la fine del mondo?
Abbiamo proprio bisogno, nel XXI secolo, di tutte queste sostanze che infine dipendono e derivano dal petrolio?
Che succederà un giorno quando, inevitabile, il picco del petrolio non solo metterà in crisi il sistema basato sui trasporti privati e individuali ma anche l’agricoltura che infine usa l’energia nascosta di input fossile?
Chi lo sa per esempio che una caloria alimentare richiede, nell’intera filiera, ben 10 calorie di fonte fossili, il che vale a dire che un piatto di spaghetti richiede complessivamente, dalla semina al raccolto, dalla lavorazione al trasporto e alla cottura e infine per lavare i piatti ben un litro di petrolio equivalente?
Ma veniamo alla questione glifosate a Campogalliano. Anzitutto, l’acqua è il bene primario per la vita, è infatti la prima cosa che le agenzie spaziali cercano nei pianeti quando si vuole valutarne l’eventuale abitabilità. E’ anche per questo che il Popolo Italiano nel 2011 ha votato affinchè la gestione dell’acqua potabile pubblica non fosse completamente privatizzabile.
I recenti esami svolti da “Il Test Salvagente“ hanno evidenziato la presenza di glifosato in alcuni acquedotti; il composto chimico è utilizzato prevalentemente in agricoltura come diserbante totale ed abbiamo visto crescerne esponenzialmente l’utilizzo dal 1992 quando è stata vietata l’atrazina. Pochi giorni dopo è uscito un comunicato stampa dell’ISPRA che evidenzia a livello nazionale la presenza di pesticidi ed altre sostanze potenzialmente nocive in acque di superficie e sotterranee. E sembra che anche a livello europeo le cose non vadano molto meglio
La dilagante preoccupazione nei cittadini e la specifica richiesta dell’Amministrazione Comunale di Campogalliano hanno spinto l’AUSL competente a far analizzare le acque dai laboratori specializzati dell’ARPA Toscana e l’esito è stato fortunatamente negativo.
Ben venga dunque l’incontro informativo promosso dall’amministrazione comunale, martedì 17 maggio 2016 ore 20:45 presso il Dancing La Montagnala, dove auspichiamo una discussione costruttiva fra i vari enti e categorie, e i cittadini, interessati all’argomento.
Del resto il problema è ben più vasto di Campogalliano, come dimostra il recente rapporto ISPRA sui residui di pesticidi e queste curiose analisi sulle tracce di glifosato e altro niente meno che nelle nostre stesse urine… e del resto, come insegna Lavoisiere, nulla si crea nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Ecco perché magari quel che troviamo oggi nelle acqua (a proposito, sarebbe interessante approfondire come è gestito e da che falde proviene la nostra acqua, ed anche quanta energia richiede per arrivare ai rubinetti) pur oggi vietato o regolamentato, è qui.
Probabilmente, il problema non si risolve trovando un sostituto all’atrazina ieri o al glifosato oggi, ma ripensando il sistema.
Ricordandoci una cosa, nessuno è colpevole, ma tutti siamo vittime e allo stesso tempo responsabili.
di Fabio Tonelli, Luca Lombroso, Matteo Pacifici